Di Elena Carrara-architetto

La chiesa sorse su un’antichissima cappella dedicata ai SS. Martiri Felice e Costanza che, secondo la tradizione, in questo luogo subirono il martirio. Nel 1645, l’oratorio versava in uno stato di degrado che non consentiva la celebrazione dei divini misteri. Per questi motivi, gli abitanti del luogo proposero di edificare una nuova chiesa. Era però necessario altro, da destinare alla nuova fabbrica. Esso fu donato da Stefano Pignataro, il cui istrumento di cessione fu stipulato, il primo novembre 1645, presso il notaio Onofrio Pepe di Pagani. Il vescovo Gabrielli riconobbe alla chiesa l’immunità da ogni ingerenza laicale e piena libertà di amministrare da sé le sue piccole rendite. Nel 1679, l’Università di Pagani, riunita in Parlamento, deliberò che la chiesa fosse donata alle religiose del monastero attiguo. Il 5 maggio dell’anno successivo fu stipulato un nuovo atto dal notaio Picaro attraverso cui la chiesa dei martiri e tutti i diritti che ad essa appartenevano furono ceduti legalmente alla madre Serafina di Dio nell’ordine di Santa Teresa. E’ del 15 aprile 1682

un atto di compra dei beni dei signori Pignataro, per l’ampliamento del monastero. Essa compare col nome di chiesa dei Santi Martiri sino al 1680 circa. Nella relazione del vescovo Lenti del 1686, la chiesa aveva già assunto il nome di Santa Maria della Purità.

Ammirante spiegò il motivo della variazione onomastica per il trasferimento nell’edificio del dipinto raffigurante la Purità di Maria, donato dal presidente della real camera di Napoli a madre Serafina.

Nel 1693 il governo della Chiesa e delle sue entrate passò ai “maestri economi”. L’anno prima, il

sacerdote Scalfati aveva proposto alla sacra congregazione che il conservatorio fosse elevato al grado e alla dignità di pontificia clausura. Solo il 13 novembre 1706, sette anni dopo la morte di suor Serafina la Sacra congregazione pubblicò il decreto di approvazione. Il 22 novembre 1715 Roma concesse l’ultimo e definitivo decreto, con il quale al Vicario capitolare di questa diocesi, don Lorenzo Di Francesco, succeduto a monsignor Carafa, fu concessa amplissima potestà per poter esaminare ed approvare nella sua coscienza tutto l’esposto e di ultimare quando faceva bisogno per effettuarsi l’affare della clausura. Il pontificio stabilì quante parti dovesse constare il monastero, le suppellettili che dovevano adornare la chiesa, fissò il reddito annuale in 676 ducati, il numero delle monache da ospitare, in 25 il numero delle coriste e in 6 quelle delle converse, la dote che ciascuna monaca doveva pagare (600 ducati se forestiere e 400 se paesane. Essa raddoppiava in caso di soprannumero).

Il 10 gennaio 1716, monsignor Di Francesco sottoscrisse un regolare decreto di trasformazione del conservatorio in clausura. L’evento fu festeggiato in pompa magna da tutti i cittadini di Pagani, dal clero e dalle principali confraternite del paese.

L’amministrazione e il governo dell’istituto furono affidati per decreto dai maestri economi, che avevano il compito di esigere le poche entrate del monastero e di provvedere alle spese del culto.

All’ edificio, si accede tramite una scala in piperno.

La facciata, abbellita da un fregio e decorazioni in stucco, è divisa in due ordini da una cornice orizzontale. La parte inferiore è scandita da quattro lesene di ordine corinzio, poggianti su un basamento in piperno, quella superiore da tre finestre, separate da lesone. Il frontone si raccorda alla cornice con due contrafforti a spirale. L’unico portale d’ingresso di forma rettangolare è sormontato da un’edicola barocca ogivale che racchiude l’immagine affrescata della Madonna della Purità col Bambino.

La chiesa, a pianta longitudinale, presenta un’unica navata sulla quale si aprono cinque cappelle con altari di marmo. Nelle visite pastorali sino a quella di Giovan Battista Carafa del 1715 sono riportati, oltre all’altare maggiore, altri altari: dedicati, rispettivamente, a Santa Teresa e a San Gaetano. Sulla destra, un pulpito dorato. Una balaustra, anch’essa dorata, divide l’abside dallo spazio dei fedeli.

Il soffitto, a volta, è ripartito in tre grandi riquadri con affreschi raffiguranti i principali episodi della vita di Santa Teresa. Il pavimento in maioliche colorate è quello originario del Seicento. A destra dell’altare maggiore vi è la sacrestia. Danneggiata dal sisma dell’Ottanta, è stata oggetto di un nuovo restauro a cura delle Soprintendenze ai beni artistici e architettonici di Salerno e di Avellino. I lavori sono terminati nel 1990, come ricorda una lapide in marmo posta sulla destra dell’ingresso.

Dal 1985, il convento ospita un’associazione laica per l’assistenza agli anziani.

Categorie: Chiese

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